Project Description

Altrove

2016, Mostra personale

Filippo Farneti. Altrove
Testo critico a cura di Davide Caroli

Pensava che ogni ricordo evocato non poteva che violare le proprie origini. Come in un gioco di società. Di’ una parola e passala al vicino. Quindi bisognava essere parsimoniosi. Ciò che si altera ricordando ha comunque una sua realtà, che la si conosca o meno.1
Filippo Farneti è indubbiamente un curioso osservatore della realtà, un attento documentatore di quanto lo circonda. Non appena possono le sue mani afferrano una penna e un foglio e iniziano a descrivere quasi con ansia e con impeto febbrile quanto gli sta attorno, si tratti di persone, oggetti o situazioni.
Questa sua carica, desiderosa di fermare il tempo delle cose fissandolo in un disegno, ne testimonia la sua sete e il suo interesse per tutto ciò che gli si pone davanti agli occhi.
Attivo da sempre, in questi ultimi anni però il suo lavoro ha raggiunto una maturità nuova, è entrato in una fase in cui è forse più consapevole e le opere che espone in questa mostra ce ne danno testimonianza.
Fino a qualche anno fa i suoi lavori erano quasi il risultato di un’indagine di tipo vagamente psicoanalitica in cui l’artista presentava elaborazioni e variazioni sul tema dell’autoritratto. Lui stesso dunque, il primo protagonista della sua realtà, era l’oggetto del suo lavoro; e in maniera quasi ossessiva eravamo messi di fronte a molteplici auto rappresentazioni dei suoi tratti somatici come a voler affermare in maniera decisa la sua presenza.
Ora ci troviamo ad avere a che fare con un aspetto più profondo di questa analisi: il protagonista attuale è l’identità stessa, mutevole e inafferrabile, di Farneti; la sua come paradigma delle nostre.
Il mondo gli sta cambiando attorno e lui, dopo aver cercato di fissare, delineare e rendere il più durevole possibile il suo volto, si accorge che non solo i caratteri somatici cambiano ma la stessa concezione di sé rischia di andare perduta. Rivolge dunque verso la sua storia la sua ricerca e dai cassetti dell’inconscio emergono immagini e ricordi che diventano così protagonisti delle sue opere.
Frammenti di memoria si affastellano sulla carta, da sempre il suo medium preferito anche per la sensa- zione di precarietà che trasmette e, tratteggiati con una pittura diluita, sembrano emergere dal fiume del subconscio. Così i suoi dipinti sono sempre ammantati da un senso di mistero ed indefinitezza, perdono parte della loro leggibilità per diventare quasi una visione, la traccia di un ricordo, che lascia un segno evanescente, i paesaggi e i volti sono trasfigurati in una percezione onirica che ci instilla il dubbio se si tratti di eventi reali del passato o di rappresentazioni del tutto immaginarie, fantasmi di storie e vite già vissute da qualcuno. A volte a questi segni vacui si sovrappongono immagini molto più definite, proprio come nei nostri ricordie nella nostra mente. Elementi e protagonisti di storie diverse confluiscono in un unico racconto, creando nuovi legami e nuove storie, sulla veridicità delle quali non sappiamo più essere certi. A volte lo stesso protagonista di questi ricordi sembra avere identità diverse e così si può costruire un mosaico di interpreti che emergono dai frammenti confusi della memoria che lui ci presenta, affiancati uno all’altro come in una raccolta di figurine di personaggi immaginari.
La nostra stessa identità dunque rischia di smarrirsi e confondersi, senza l’appiglio di una certezza cui afferrarsi saldamente.
E in tutto questo apparentemente effimero susseguirsi di immagini e sensazioni che Farneti ci propone, quasi all’improvviso, ci troviamo davanti a dei cancelli. Come se vagando nella mente, senza puntello al- cuno, si ritrovasse in un angolo in cui gli si prospetta la possibilità di andare oltre.
I cancelli, dei passaggi dunque misteriosi, che ci promettono di portarci dall’“altra parte”; ben nascosti nei boschi della mente emergono come una possibilità per giungere veramente Altrove. Una sorta di accesso segreto che, come di incanto, sembra introdurci a qualcosa che al momento non vediamo e ci rimane ignoto, un luogo dove forse le memorie e i ricordi si possono ricomporre in una unità ora inafferrabile.
Appaiono attraenti e allo stesso tempo respingenti. Il mistero di quello a cui possono condurre è motivo per oltrepassarli, ma l’ignoto può essere anche qualcosa che non si vuole scoprire, per timore di perdere le poche certezze che si hanno. Altrove. Come il titolo di questa mostra, un titolo nato quasi per caso, ma in maniera assolutamente perti- nente, dal ritrovamento di una vecchia foto abbandonata su cui era scritta questa parola.
Altrove che vuol però dire “non qui, non ora”. Ma Altrove dove? In che senso dunque? Da qualche altra parte dove sta avvenendo, o è avvenuto in passato, quello che qui non riusciamo a per- cepire compiutamente, ma che sentiamo necessario per noi. Da un’altra parte, verso cui Farneti sembra voler tendere, ma davanti alla quale ci lascia, affinché noi de- cidiamo in quale direzione vogliamo compiere il prossimo passo della nostra conoscenza.
Lui la guardò. Dopo un po’ disse: Il problema non è sapere dove sei.
Il problema è pensare che ci sei arrivato senza portarti dietro niente. Questa tua idea di ricominciare daccapo. Che poi ce l’abbiamo un po’ tutti. Non si ricomincia mai daccapo. Ecco il problema. Ogni passo che fai è per sempre. Non lo puoi annullare. Non puoi annullare niente. Capisci cosa intendo?2

[1] C. McCarthy, La strada (The Road, 2006), trad. di M.Testa, Einaudi, Torino 2007 [2] C. McCarthy, Non è un paese per vecchi (No Country for Old Men, 2005), traduzione di Martina Testa, Einaudi, Super ET, Torino